La domenica delle salme

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La domenica delle salme è inclusa nell’album Le nuvole (1990). Benché firmata indistintamente da De André e Mauro Pagani, come tutti gli altri frutti della loro collaborazione, i due autori non hanno nascosto che il primo fu essenzialmente autore del testo, mentre Pagani si occupò della musica. Pagani ricorda che, nella genesi del testo, De André compose in un insieme organico una serie di brevi frasi appuntate dai quotidiani nel corso dei due anni precedenti.

Il brano si aggiudicò la Targa Tenco alla Migliore Canzone nel 1991.

Tutto parte da un’analisi storico-politica di De André che rivista oggi è sorprendentemente profetica. Questa canzone è la quintessenza della provocazione deandreiana, in cui il “politicamente corretto” è del tutto rifiutato.
Ma quindi quale sarebbe questo potente punto di vista ribelle? Crolla il muro di Berlino e, mentre tutti esultano per la sconfitta del comunismo sovietico, De André ha il coraggio di guardare l’altra faccia della medaglia e capisce che non si tratta tanto della fine del modello sovietico, quanto la vittoria definitiva del capitalismo americano, quello che già Paul Simon aveva criticato negli anni ’70 in canzoni come American Tune.

De André si accorse che all’album ormai finito Le nuvole mancava qualcosa, un pezzo potente (potremmo dire deandreiano): lui aveva raccolto vari articoli giornale e pensieri dell’ultimo periodo, che però al momento somigliavano più ad aforismi che ad una canzone. Capisce che è il momento di fare la magia e da una serie di pensieri quasi sconclusionati nasce una straordinaria canzone con una durissima critica della società dei primi ’90, figlia del fallimento dell’URSS. Il tutto è accompagnato da un arpeggio impossibile di Mauro Pagani che riesce a dare musicalità ad un testo che era completamente privo di metrica. Regnano l’ansia, la malinconia ed il senso di sconfitta.
Cito testualmente Mauro Pagani:
«Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò. «Manca qualcosa, è tutto bello ma un po’ troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all’Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza.»

 

La domenica delle salme

Analisi del testo.

 

Non commenterò tutto, perché molti passaggi rimangono tuttora oscuri.

Tentò la fuga in tram verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata dove galleggia Milano
non fu difficile seguirlo il poeta della Baggina
la sua anima accesa mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba un pettirosso da combattimento

Prima strofa di natura proemiale in cui appare un poeta che scappa dalla Baggina sulla strada di Trento, forse il protagonista della vicenda.
2 sono i misteri:
1) Come gli è venuta in mente la Baggina (a Milano la Casa di Riposo per Anziani Pio Albero Trivulzio).Perché di tutte le case di riposo ha scelto proprio quella che, a sua insaputa, sarà il punto di partenza per Tangentopoli? (tra l’altro vicenda storica ben descritta in Nostra signora dell’ipocrisia di Guccini, che presenta molte analogie proprio con questa canzone)
Rimarrà per sempre un mistero.
2) Chi è questo poeta? Probabilmente De André stesso, o quantomeno un suo alter ego. D’altronde il poeta scappa da una casa di riposo per andare a Trento che (non a caso) è stato uno dei punti caldi del ’68 in Italia (a Trento si è formato uno dei gruppi che ha poi composto le Brigate Rosse). Quindi assai probabile che tutta la canzone sia da vedere come un viaggio di De André in cerca dei valori da lui tanto amati (durante il contesto sociale del suo tempo attraverso tanti svariati aneddoti e percependo una sorta di funerale (lo vedremo meglio dopo).

I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare

Sembra incredibile, ma questa straordinaria strofa che fonde insieme decadentismo, crepuscolarismo e futurismo De André sta solo descrivendo l’immagine dei polacchi che lavano i vetri alle FIAT 500 (le troie di regime).

i trafficanti di saponette mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta ne era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutto il culo

Più difficile capire cosa davvero volesse dire qui: il concetto di fondo è la sconfitta del comunismo (che improvvisamente dal 1990 al 1991 non esiste più) anche nelle sue forme più moderate, in favore del ritorno di forme di nazismo\fascismo (ebbene sì aveva già capito anche questo) rintracciabili come “trafficanti di saponette” (in riferimento al sapone fatto coi capelli dei deportati) adoranti la “scimmia del quarto Reich” che esulta mentre crolla il muro di Berlino.

la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista

Ecco la svolta: il capitalismo (simboleggiato dalla piramide di Cheope) ha avuto la meglio.

La domenica delle salme non si udirono fucilate
il gas esilarante presidiava le strade
la domenica delle salme si portò via tutti i pensieri
e le regine del ‘’tua culpa” affollarono i parrucchieri

Per la prima volta entra in scena una sorta di ritornello (che però cambierà nel testo ogni volta). La giornata è definita come “domenica delle salme“. E’ evidente il riferimento al periodo pasquale, ma del tutto ribaltato. Non si osanna Gesù attraverso le palme, ma si celebra la morte del comunismo attraverso la sua salma. Nessuno protesta (non si udirono fucilate), sono tutti incantati dal nuovo sogno capitalista (il gas esilarante), nessuno è in grado di riflettere (si portò via tutti i pensieri) e il dibattito si è ridotto a pettegoli dalla parrucchiera.

Nell’assolata galera patria il secondo secondino
disse a ‘’Baffi di Sego” che era il primo si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l’amputazione della gamba di Renato Curcio il carbonaro

De André tenta l’impossibile e tira in ballo l’innocenza (almeno parziale) di Renato Curcio fondatore delle Brigate Rosse. E’ una riflessione quantomai attuale oggi dopo la recente cattura di Cesare Battisti.
Faber stesso ha dichiarato che la provocazione stava nel far notare che Renato Curcio, che non ha mai ucciso nessuno personalmente, era in cella mentre alcuni fautori del terrorismo nero erano in giro completamente liberi.
Cito testualmente De Andrè:
«Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale… Il riferimento poi all’amputazione della gamba, voleva essere anche un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri.»

Il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo

Provocazioni in rapida successione che anticipano la cultura politica degli anni immediatamente successivi (quanti ne abbiamo visti negli ultimi 20 anni di ministro dei temporali che in un tripudio di tromboni auspicano democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni?).
La metafora degli ultimi due versi probabilmente non ha un’interpretazione definita, ma (assieme alle “regine del tua culpa” che spettegolano) crea una suggestiva immagine di ipocrisia e crisi degli ideali.

La domenica delle salme nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro del defunto ideale
la domenica delle salme si sentiva cantare
quant’è bella giovinezza non vogliamo più invecchiare

Ancora una volta lo pseudo-ritornello viene usato per creare un immagine generale del clima si respira. La sconfitta del comunismo somiglia quasi ad un delitto perfetto: l’ultimo nemico del capitalismo americano sfrenato è stato ucciso e tutti si convertono illudendosi che questo sia un elisir di eterna giovinezza.

Gli ultimi viandanti si ritirarono nelle catacombe accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta poi ci mandarono a cagare
voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia nei palastilisti e dai padri Maristi
voi avete voci potenti lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti adatte per il vaffanculo

Vengono inoltre citati i “palastilisti”, con riferimento al PalaTrussardi di Milano, che prende appunto il nome da uno stilista ed è presente un atto d’accusa esplicito contro il mondo della musica e i colleghi cantautori divenuti secondo l’autore dei meri “servitori del potere”, intrattenitori o fautori di cause di facciata

Venditti e Bennato si sono venduti e hanno buttato al vento quella “voce adatta per il vaffanculo”.

La domenica delle salme gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia
la domenica delle salme fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni di una pace terrificante

Nei primi due versi De André smorza i toni provocatori e procede all’autocritica: sa perfettamente che il comunismo è un’utopia, ma lui è uno di quegli “addetti alla nostalgia” che ne difendevano gli ideali. De André sa che forse è ancora più utopico del comunismo e si dimostra lucido ormai al termine di una riflessione che altrimenti (specialmente all’epoca) poteva sembrare folle.
Negli altri due invece ritorna il tema del l’assoluta normalità di ciò che è accaduta e della totale indifferenza che regna intorno a quei pochi nostalgici che cercano di accompagnare la salma. Ci sono “i segni di una pace terrificante” che ridurrà il dibattito politico a pura propaganda svuotata di qualsiasi ideale e dedita soltanto alla lotta per il potere personale.

mentre il cuore d’Italia da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro di vibrante protesta

Le ultime parole sono forse le più oscure. Esprimono ancora una volta la tendenza sia di De André che di Guccini a chiudere con un messaggio di speranza (solo 3 anni dopo in Nostra signora dell’ipocrisia Guccini chiude con “solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a pensare”)che per altro somiglia ad un grido di foscoliano memoria che riunisce tutte le genti d’Italia (“da Palermo ad Aosta”)

Per dirla alla Nanni Moretti, La domenica delle salme è “qualcosa di sinistra, almeno qualcosa.”


Articolo a cura di Farncesco Dani.

 

 

 

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