Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters

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Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters è inserita nell’album Volume I del 1967, la canzone fu composta insieme al suo grande amico Paolo Villaggio.

 

Paolo Villaggio ricorda così la stesura di Carlo Martello:

La scelta dell’ambientazione medioevale fu tutta farina del mio sacco, Fabrizio ci mise solo la musica. Cioè avvenne il contrario, lui aveva già la musica ed io ci misi le parole. Fu così: era una giornata di pioggia del novembre del 1962 e io e Fabrizio, a Genova a casa mia in via Bovio, eravamo tutti e due in attesa del parto delle nostre signore, che poi partorirono lo stesso giorno, infatti Cristiano e il mio Pierfrancesco sono ‘gemelli’.

Ebbene, forse per distrarci o per passare il tempo, Fabrizio con la chitarra mi fece ascoltare una melodia, una specie di inno da corno inglese e io, che sono di una cultura immensa, cioè in realtà sono maniaco di storia, ho pensato subito di scrivere le parole ispirandomi a Carlo Martello re dei Franchi che torna dalla battaglia di Poitiers, un episodio dell’ottavo secolo d.C., tra i più importanti della storia europea visto che quella battaglia servì a fermare l’avanzata, fino ad allora inarrestabile, dell’Islam. Erano arrivati fino a Parigi, senza Carlo Martello sarebbe stata diversa la storia dell’Europa. Comunque mi piaceva quella vicenda e la volli raccontare, ovviamente parodiandola. In una settimana scrissi le parole di questa presa in giro del povero Carlo Martello.

La canzone passò abbastanza inosservata, Fabrizio ancora non aveva inciso La Canzone di Marinella e non era quindi famoso, tanto meno io. Qualcuno però notò questa strana filastrocca che sbeffeggiava il potente Re dei Franchi: fu un pretore, mi pare di Catania, che ci querelò perché la considerava immorale soprattutto per quel verso: «È mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi p…». E pensare che noi eravamo già stati censurati e avevamo dovuto trasformare il verso finale che in originale suonava: «frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da c…» con: «frustando il cavallo come un ciuco, tra il glicine e il sambuco». Ma, a parte questo pretore, nessuno notò la nostra canzone che fu riscoperta quando Fabrizio divenne famoso dopo Marinella.

 

Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters

 

De André aveva composto un pezzo musicale tutto giocato sull’imitazione dello stile, l’andamento cantabile, la solennità, dei trovatori medioevali.  Faber, come lo aveva soprannominato lo stesso Villaggio, gli chiese di aiutarlo a trovare i versi adatti. Cos’altro meglio di un re francese alto medioevale, Carlo Martello, il primo che, nell’VIII secolo d.C., riuscì a fermare l’avanzata degli arabi nel continente europeo? Ma questo re non poteva certo passarla liscia nelle mani dei due amici. Ed ecco una delle scenette più esilaranti mai raccontate in musica. Il guerriero, l’eroe accolto cingendolo alloro dalla terra che ha preservato dall’invasione, cede allo stimolo dei sensi e si comporta da maschio prepotente. Anche perché in guerra si corre il rischio di perdere la chiave della cintura di castità della legittima sposa. Improvvisamente appare davanti a lui una mirabile visione, il simbolo d’amore, con il seno nudo nel folto delle trecce bionde. Nonostante gli avvertimenti di anonimi personaggi del seguito (già d’altri è gaudio quel che cercate) , re Carlo cede ai sensi  (più dell’onor poté il digiuno, un conte Ugolino dantesco in versione comica) ma arriva la sorpresa. La ragazza oggetto della brutalità reale si vendica: “ veloce lo arpiona la pulzella repente la parcella, presenta al suo signor”. Come? Un re, un guerriero, un eroe ridotto all’amore a pagamento? Come accade spesso in questi frangenti, quando l’autostima subisce un duro colpo, è naturale attaccarsi ai dettagli piuttosto che soccombere alla situazione sfuggita di mano: “anche sul prezzo c’è poi da ridire, io mi ricordo che pria di partire c’eran tariffe inferiori alle tremila lire”. Confessando di conoscerne i prezzi , Carlo ammette di praticare l’amore mercenario.  Senza più la speranza di recuperare la sua dignità, il re vincitore non trova di meglio che comportarsi da cialtrone e dileguarsi.
Un testo esemplare per idea, ritmo narrativo e psicologia. Con in più quella parola che detta in una canzone destinata al grande pubblico rappresentava allora quanto di meno politically correct ci fosse in Italia. Chi può dimenticare che in Rai, ad esempio, non si poteva pronunciare la parola membro, perché collegabile infelicemente, con il massimo della malizia, con l’organo di riproduzione maschile. Dunque mai “membro del comitato”, ma “partecipante, componente”.

 

Testo Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters

 

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor.
Al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura del Sire vincitor.

Il sangue del Principe e del Moro
arrossano il cimiero d’identico color
ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite le bramosie d’amor.

“Se ansia di gloria, sete d’onore
spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all’amore.
Chi poi impone alla sposa soave
di castità la cintura, ahimé, è grave
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave”.

Così si lamenta il re cristano
s’inchina intorno il grano, gli son corona i fior.
Lo specchio di chiara fontanella
riflette fiero in sella dei Mori il vincitor.

Quand’ecco nell’acqua si compone
mirabile visione il simbolo d’amor
nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde ignudo in pieno sol.

“Mai non fu vista cosa più bella
mai io non colsi siffatta pulzella”
disse re carlo scendendo veloce di sella;
“Deh, cavaliere, non v’accostate
già d’altri è gaudio quel che cercate
ad altra più facile fonte la sete calmate”.

Sorpreso da un dire sì deciso
sentendosi deriso re Carlo s’arrestò;
ma più dell’onor poté il digiuno,
fremente l’elmo bruno il sire si levò.

Codesta era l’arma sua segreta
da Carlo spesso usata in gran difficoltà
alla donna apparve un gran nasone
un volto da caprone, ma era Sua Maestà.

“Se voi non foste il mio sovrano”
-Carlo si sfila il pesante spadone-
“non celerei il disio di fuggirvi lontano;
ma poiché siete il mio signore”
-Carlo si toglie l’intero gabbione-
“debbo concedermi spoglia d’ogni pudore”.

Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente d’onor si ricoprì;
e giunto alla fin della tenzone
incerto sull’arcione tentò di risalir.

Veloce lo arpiona la pulzella
repente una parcella presenta al suo signor:
“Deh, proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire, è un prezzo di favor”.

“E’ mai possibile, porco d’un cane,
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane!
Anche sul prezzo c’è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
v’eran tariffe inferiori alle tremila lire”.

Ciò detto, agì da gran cialtrone
con balzo da leone in sella si lanciò;
frustando il cavallo come un ciuco
tra i glicini e il sambuco il re si dileguò.

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor.
Al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura del sire vincitor.

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