1954: De André incontra la chitarra e la poesia

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Di ritorno da un viaggio in montagna nel settembre del 1954 la famiglia De André, insieme ad alcuni amici, decisero di passare una breve vacanza nella Langhe, a La Morra. Fu così che Fabrizio “incontrò” per la prima volta la chitarra e la poesia.

 

Uno giovane Fabrizio De Andrè

 

I De André vennero invitati a cena da un loro conoscente di Torino, l’ingegner Pier Franco Bertone, anche lui in villeggiatura a La Morra.

Mentre gironzolava annoiato, Fabrizio scorse in un angolo una bella chitarra e iniziò a strimpellarla con discreta abilità. L’ingegner Bertone rimase di stucco nell’apprendere da Fabrizio che mai prima di allora l’aveva suonata e decise di regalargliela.

Fabrizio cominciò a esercitarsi con passione, facilitato anche dalla buona manualità acquisita con lo studio del violino.

In quei giorni arrivò in albergo con la moglie Floria il petroliere Abelardo Remo Borzini.

Da anni Borzini coltivava l’hobby della poesia e della pittura; con il passare del tempo sarebbe divenuto uno dei più ispirati cantori della vita di Genova e della Liguria. Uomo coltissimo e raffinato, amante del bello con un originale senso dell’umorismo, fece colpo sul giovane Fabrizio con alcune delle sue poesie.

Con Fabrizio ci siamo incontrati la prima volta a La Morra. Lui pressoché un ragazzo, io con qualche primizia grigia sulle tempiePassava le giornate tormentando la sua chitarra ed evocando inconsciamente quella poesia trovadorica che aveva infiammato la poesia di Raimbaut de Vaquerais e di Sordello da Goito e che, un giorno, avrebbe pure lui posseduta.

D’un tratto s’interrompeva per passare, in sordina, quasi se ne vergognasse, a motivi conosciuti. Erano quasi sempre variazioni di Giochi Proibiti a frequentare queste parentesi. Ricordi lontani, troppo lontani, di un amico che mi è sempre stato e mi è tuttora vicino. Con la sua musica, con la sua poesia (Abelardo Remo Borzini).

Borzini affascinò il giovane con le sue poesie e col suo modo di trasmettergliele, avvolgendo Fabrizio in una specie di ipnosi poetica, dalla quale probabilmente non uscì mai, alla ricerca continua di sonorità trovadoriche sulla chitarra, e di letture diverse da quelle proposte dai libri di scuola.

Ecco che intraprende la lettura di Steinbeck, Cronin, Dostoevskij, Maupassant, Flaubert, Balzac, Villon, nonché l’ascolto degli chansonniers francesi come George Brassens, iniziata grazie ad un 78 giri regalatogli nel 1956 dal padre.

Attraverso queste letture, iniziò a comprendere dove stavano l’emarginazione, i pregiudizi, l’autenticità dei rapporti sociali, la libertà, la bellezza, cosa c’è nascosto dietro i vicoli, quanto dura una solitudine, e le prassi di discriminazione e odio proprie della nostra società.

De Andrè spesso ha citato Borzini tra i suoi principali ispiratori, era molto attratto dalle sue poesie soprattutto quelle incentrate sull’umanità esclusa della società, le prostitute, gli ubriaconi e  gli zingari (temi che ricorrono spesso nelle canzoni di Fabrizio De André).

 

 

 

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