Il cantico dei drogati

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Il Cantico dei drogati è una canzone contenuta nell’Album Tutti morimmo a stento del 1968, il testo della canzone è ispirata alla poesia  Eroina del poeta genovese Riccardo Mannerini (grande amico di Fabrizio).

Il titolo scelto inizialmente era  “Il cantico dei folletti di vetro” che sta ad indicare le bottiglie di vetro, soprattutto quelle contenente alcool.

Io che non vedo più

che folletti di vetro

che mi spiano davanti

che mi ridono dietro.

(Tratto dalla canzone Il Cantico dei drogati)

 

 

Riccardo Mannerini e Fabrizio De Andrè
Riccardo Mannerini e Fabrizio De Andrè

 

Riccardo Mannerini era un altro mio grande amico. Era quasi cieco perché’ quando navigava su una nave dei Costa una caldaia gli era esplosa in faccia. E’ morto suicida, molti anni dopo, senza mai ricevere alcun indennizzo. Ha avuto brutte storie con la giustizia perché’ era un autentico libertario, e cosi’ quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo. Abbiamo scritto insieme il Cantico dei Drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Pero’ il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. E’ una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché’ grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima.”

Fabrizio De André

 

Uno dei migliori testi poetici che ha saputo descrivere i drammi di un tossicodipendente. Questo colpisce ancora di più se si pensa che quando fu pubblicata la canzone nel 1968 la droga non aveva ancora assunto la drammatica diffusione dei nostri giorni, ma era piuttosto un vizio dei pochi giovani ricchi che se lo potevano permettere, forse come qualcuno dei suoi compagni del liceo privato. Si capisce allora come sia significativo che Fabrizio dedichi proprio a questa realtà una canzone così toccante. Il testo risulta crudo ed essenziale e per questo tanto efficace: nella mente di un drogato non c’è più posto per Dio né per un amore, ma solamente per un sovrumano vuoto che rende senza senso le parole, impedendo di comunicare. Il drogato è ossessionato da fantasmi, costruiti dalla sua stessa mente, che lo opprimono con la loro presenza inquietante e sinistra, come le domande senza risposta: “perché non hanno fatto delle grandi pattumiere?… chi sarà mai il buttafuori del sole?… e soprattutto chi e perché mi ha messo al mondo?…” per ritornare poi al ritornello che riprende il vuoto più terribile, quello che costringe all’isolamento e alla vergogna: “come potro’ dire a mia madre che ho paura?” Il finale stupisce in quanto il drogato si rivolge direttamente all’ascoltatore: “tu che mi ascolti insegnami / un alfabeto che sia / differente da quello / della mia vigliaccheria“. E’ la supplica di un condannato che si scopre, ancora e nonostante tutto, non privo di un barlume di speranza e di fiducia nei propri simili.

 

Testo Il Cantico dei drogati

 

Ho licenziato Dio

gettato via un amore

per costruirmi il vuoto

nell’anima e nel cuore.

 

Le parole che dico

non han più forma né accento

si trasformano i suoni

in un sordo lamento.

 

Mentre fra gli altri nudi

io striscio verso un fuoco

che illumina i fantasmi

di questo osceno giuoco.

 

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

 

Chi mi riparlerà

di domani luminosi

dove i muti canteranno

e taceranno i noiosi.

 

Quando riascolterò

il vento tra le foglie

sussurrare i silenzi

che la sera raccoglie.

 

Io che non vedo più

che folletti di vetro

che mi spiano davanti

che mi ridono dietro.

 

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

 

Perché non hanno fatto

delle grandi pattumiere

per i giorni già usati

per queste ed altre sere.

 

E chi, chi sarà mai

il buttafuori del sole

chi lo spinge ogni giorno

sulla scena alle prime ore.

 

E soprattutto chi

e perché mi ha messo al mondo

dove vivo la mia morte

con un anticipo tremendo?

 

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

 

Quando scadrà l’affitto

di questo corpo idiota

allora avrò il mio premio

come una buona nota.

 

Mi citeran di monito

a chi crede sia bello

giocherellare a palla

con il proprio cervello.

 

Cercando di lanciarlo

oltre il confine stabilito

che qualcuno ha tracciato

ai bordi dell’infinito.

 

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

 

Tu che m’ascolti insegnami

un alfabeto che sia

differente da quello

della mia vigliaccheria.

 

 

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